martedì 5 dicembre 2017

PAUSA PRANZO - RUN-CCONTI DELL'ORRORE

Pausa pranzo
Quando la gara si avvicinava, per Alice il tempo era sempre pochissimo. 
L'unica maniera era quella di correre anche in pausa pranzo, per poter arrivare, almeno, nelle condizioni di portare a termine l'ultra a cui si era iscritta.
Fortunatamente il lavoro le permetteva un po' di flessibilità. Così, dopo già quattro giorni in cui saltava il pranzo per correre, questi allenamenti erano entrati nella routine delle sue abitudini.

Anche quel Venerdì, Alice, riuscì a 'rubare' 15 minuti dalla pausa, per potersi cambiare in anticipo ("Tanto poi li recupero stasera") ed uscire a correre alle 13.30 in punto, inizio del tempo riservato al pranzo per la maggior parte di tutti gli altri impiegati. 
Doveva percorrere qualche centinaio di metri sulla strada provinciale, prima di buttarsi sui sentieri delle colline circostanti. Oramai il giro era consolidato: 50' precisi; il tempo sufficiente per poi arrivare in ufficio, asciugarsi e profumarsi velocemente con delle salviette umidificate. Poi rivestirsi, ed essere pronta per tornare ad inserire ancora lunghe pagine di dati a computer. Se avesse avuto un lavoro a contatto con il pubblico le sarebbe piaciuto di più, ma sarebbero state escluse quelle ‘pazzie’ e quelle ‘puzze’. 

Stava chiudendo il giro, ma dove il sentiero attraversava la rete spinata che delimitava due proprietà, vide qualcosa di inconsueto rispetto i giorni passati. Più si avvicinava e più quella cosa immobile, agganciata alla rete, prendeva forma: era un rapace. 
L'uccello, immobile, guardava questo colorato essere vivente avvicinarsi. Alice vide che un'ala era infilzata sul filo spinato, mentre l'altra era riuscita a passare oltre. La testa era a mezza via. Lo sguardo dell'animale era severo e  fermo. Alice intuì che il rapace, in picchiata, magari verso un roditore, non aveva chiuso per tempo entrambe le ali, per passare tra i fili spinati, rimanendo legato ad uno di essi. Non sembrava essere complicata la procedura per liberarlo. Non era importante che il rapace collaborasse, ma bastava che la lasciasse fare, senza tentare di beccarla o graffiarla con i lunghi artigli delle zampe. 

Alice prese coraggio. Con una mano cercò di allargare la rete, con l'altra era pronta a liberare l'ala dall'infernale uncino. Quando vide che l'animale, la guardava severo, ma non muoveva un muscolo, capì e fulmineamente sganciò l'ala. Fu un attimo; non se ne rese conto; il rapace era già in volo, in alto. Tutto era avvenuto velocemente. Appena sentitosi libero, all'uccello bastò una spinta con le zampe ed un battito d'ali per essere già lontano.
Un sentimento di appagamento, di gioia, di completezza invase Alice. Era felice di quanto aveva fatto, quasi radiosa. Si rimise le cuffiette, aumentò il volume della musica ed anche la cadenza della corsa. Voleva godersi gli ultimi minuti di corsa ma era anche in ritardo. Non poteva distrarsi ulteriormente.
Non si era accorta che l'uccello non se n'era andato, ma in segno di gratitudine, aveva fatto due giri sopra la sua figura ed ora la seguiva da molto in alto.

Mario amava i rapaci. Continuava a guardare dal finestrino di guida quel punto in alto che aveva fatto due virate molto basse. Era di sicuro un rapace, ma non riusciva ad identificarlo. 
Così facendo, non si accorse che un furgone davanti stava frenando vistosamente. Quando, per qualche attimo, riportò gli occhi sulla strada, meccanicamente le sue mani girarono bruscamente il volante, per portarsi al centro della strada e scongiurare l'impatto con il furgone. 
L'auto non correva a forte velocità, ma era vecchia ed il cambio repentino la fece sbandare. Mario cercò di tenerla sulla strada, ma vedendo arrivare in senso contrario un veicolo, dovette lasciar proseguire l'auto verso il bordo opposto per evitare impatti devastanti. In quel momento sentì evidente il fischio stridulo ed imponente del rapace. Ora lo riconosceva, era un Gheppio. Non una, ma più volte costui fischiò.  In tutta questa confusione, finalmente l'auto si fermò sul parapetto, investendo violentemente una ragazza che correva sul ciglio in direzione della zona industriale. 


Alice non si accorse di nulla, tanto era immersa nella sua musica ed in uno stato di beatitudine. Inutili gli avvertimenti striduli del rapace. 
Poi, tutto divenne buio.





venerdì 25 agosto 2017

A Mente Libera




A MENTE LIBERA


Sono oramai convinto che molti limiti che ci poniamo o che ci pongono (od impongono) siano solo psicologici. Ci hanno messo molto tempo i ‘miei guru’ a convincermene (sono uno zuccone), ma alla fine ce l’hanno fatta.
Ce l'hanno fatta portandomi esempi di molti uomini e donne (non solo atleti) che hanno superato questi muri 'ideali' e subito dopo di loro molti altri, quasi con facilità, li hanno raggiunti se non superati! Erano quindi asticelle psicologiche e non fisiche. 

Non voglio certo mettermi a questi livelli, me ne guardo bene (!), ma ho iniziato dicendo questo solo per far capire con quale spirito, io (e credo anche il più matto e forte di me: Michele Debertolis), Domenica scorsa, mi sono avvicinato a fare la Palaronda Trek Hard in giornata (circa 49Km; 4000 D+; 6 salite; 3 Ferrate; 2 sentieri attrezzati, etc.). Mi sono avvicinato con uno spirito di avventura, di esplorazione, di timore … che fluiva poi tutto in adrenalina! Un po’ come gli alpinisti che tracciano per primi la 'loro' via. 

Non abbiamo cercato un impresa o un record, né correvamo contro il tempo (noi ci abbiamo messo 14 ore e 15 minuti, ma abbiamo ‘lasciato sul terreno’ una buona ora e mezza, che chi percorrerà lo stesso itinerario con agonismo e competizione potrà limare), abbiamo voluto invece cercare un ‘terreno vergine’ per spostare un’asticella (non me la sento di chiamarlo limite), affinché poi altri abbiano voglia di provarci. Dopo di noi si sa che si può fare, e mi aspetto venga ripetuta se non migliorata la nostra prestazione!


Detto ciò, mi sposto su un altro discorso, che però è collegato a quanto ho fatto Domenica (visto anche il forte dibattito che è attualmente in corso): sul ‘materiale obbligatorio’ disposto con ordinanza comunale da parte del sindaco di Saint Gervais per salire il Monte Bianco dalla via normale francese. 
Voglio fare una precisazione sul mio modo di andare in montagna, agganciandomi proprio a questo.

Ho da tempo preso la strada del Fast & Light (veloce e leggero … alla Kilian – altro ‘abbattitore di limiti’ -), e mi sento nel partito della ‘montagna come terreno di libertà’ e non di vincoli e restrizioni. Però, …. c’è un però.

Io sono arrivato a questo, dopo una lungo percorso. Nulla si improvvisa e dietro ad ogni exploit, anche di Kilian, c’è tanto lavoro, sacrificio, cultura. Ecco forse proprio la cultura manca.
La montagna, l’alpinismo hanno intrinseco il concetto di rischio. Sono portatori di rischio. L’ambiente è pericoloso (e va conosciuto), il meteo può cambiare velocemente (e va letto), la fatica incombe (e va gestita), gli imprevisti sono ampiamente possibili (e vanno ‘previsti’, pianificando vie di fuga). Non potremmo sicuramente avere il controllo assoluto dei rischi, ma possiamo minimizzarli, dobbiamo minimizzarli e … sapere quando tornare indietro (cosa psicologicamente sempre più difficile). Bisogna studiare, applicarsi, provare, scegliere i materiali e l'attrezzatura idonei (per noi e per la montagna scelta) e, all'inizio, magari anche i compagni giusti.

Come dico sempre, non possiamo abbassare la montagna al nostro livello, ma dobbiamo noi innalzarci ad essa: con un approccio umile, innalzando la nostra preparazione, acquisendo conoscenze ed esperienza. E’ un processo. E’ una pianificazione. E’ quella ‘gavetta’ che nessuno più vuol fare. Io sono felice di aver incrociato ‘guru’ che mi hanno motivato ma anche, e soprattutto, quelli che mi hanno ‘steccato’ quando era giusto farlo.

Anche oggi dovrebbe essere così …
... ed io spero di essere una persona così, pur sapendo di non piacere a tanti.

Tornando alle regole, non possiamo appiattire i nostri comportamenti con delle ordinanze; ognuno ha un vissuto particolare non omologabile ed in base a questo pianificherà la sua ‘gita’ in montagna. Poco tempo fa ho portato mio figlio in un difficile tracciato in montagna. Dopo questa esperienza, cose che prima gli sembravano difficili, ora gli risultano delle ‘banalità’. Non posso dirgli di fare attenzione come prima sullo stesso precedente percorso, lui è diverso, ora è ‘più esperto’. Tutto è relativo. 

Voglio chiudere con una provocazione (neanche tanto): pianifichiamo un’uscita pensando che nessuno ci verrà a prendere (basta con il Soccorso Alpino come la colonnina che si trova in Autostrada e la si suona con semplicità), pianifichiamo l'uscita prendendoci le nostre responsabilità, pensando che qualsiasi cosa accadrà dovremo cercare di uscirne con le nostre forze. Vedrete che ridurremo il rischio delle uscite: aumentando la nostra preparazione o diminuendo le difficoltà del luogo o del percorso prescelto. 

Vuoi essere libero, siilo davvero! 

E se vuoi prendere maggiori rischi fallo consapevole di mettere in gioco la tua sola vita e non quella di altri. La libertà assoluta che molti stanno chiedendo a gran voce ha un prezzo: la responsabilità. 

Io 'gioco' così.

sabato 24 giugno 2017

R.B.C. #8

La zona della Marmolada è sempre affascinante!


Partendo da Pozza di Fassa (TN), dopo aver posizionato una bici a Penia di Canazei. sono salito sino al Buffaure e da qui per la Cresta Paradiso al Rif. Passo San Nicolò. Questa volta, questa mia amata cresta che di mattino presto ti accoglie con camosci e marmotte (con i relativi pargoli), mi ha accolto anche con una vipera e i suoi due pargoli. Poco male.
Proseguito in discesa sino a Malga Contrin si risale sino a F.lla Ombrettola e per Ferrata Vernale a Cima Ombretta (mt. 3.011). Ripida discesa sino al Biv. Dal Bianco e poi al Rif. Contrin per poi seguire la lunga mulattiera che passando per Locia de Contrin, porta a Penia di Canazei.
Bici per pista ciclabile sino al punto di partenza.
I tempi del CAI danno circa 10 1/2 - 11 ore l'intero giro ... senza il tratto in bici. 
Ma a me interessa solo essermi divertito!!!

lunedì 5 giugno 2017

IL LUNGO - RUN-CCONTI DELL'ORRORE

Il lungo

Ale rientrò a casa felice. 
Quel Sabato mattina doveva fare un lungo. Ed era felice di averlo fatto, riuscendoci anche con un discreto tempo e senza essere troppo affaticato. 
Sapeva di avere ancora molti chilometri da fare prima di essere pronto per quella gara in montagna, l'obiettivo della stagione, ma era radioso. 
Viveva solo. 

Aprì la porta canticchiando e chiudendola rumorosamente alle spalle. L'appartamento era immerso in una luce calda che proveniva dalla porta finestra del terrazzo.  Sempre canticchiando si svestì in cucina, non c'era nessuno che lo poteva vedere, e se ne andò in doccia.  Fece una doccia veloce, l'appetito si faceva sentire, e si rivestì rientrando in cucina. 
Le finestre erano ampie e permettevano di dominare il paesaggio montano che restava fuori. Sorrideva felice, la forma stava crescendo. 
Pensando un po' al lavoro, un po' alla corsa, un po' alle spese sempre più crescenti, meccanicamente si era trovato in piedi a mangiare un'ottima pastasciutta alla canapa ed amaranto con sugo di capperi ed olive. Non amava cucinare, neanche mangiare, si limitava a nutrirsi e spesso così ... in piedi.

Aveva il pomeriggio libero. Nessun impegno. 
Decise di andare a leggere un buon libro coricandosi sul letto, accompagnandosi con una birra leggera.
La stanchezza della mattinata, la birra, od il noioso libro che stava leggendo, dopo un po' portarono le sue palpebre a cominciare a chiudersi. Dolcemente si lasciò andare tra le braccia di Morfeo cercando la posizione migliore. 
Per un fastidioso spiffero di aria che proveniva dalla finestra leggermente aperta, Ale iniziò ad avere freddo e si raggomitolò con le mani tra i polpacci. L'indice cozzò su di una crosticina di sangue, che meccanicamente tolse. Stava per lasciarsi andare completamente al sonno quando, la sua fobia delle malattie, lo portò a cercare di ricordare dove e quando si fosse ferito. Vuoto. Nessun indizio. 
Annebbiato oramai dal sonno che lo aveva abbondantemente avviluppato, si sforzò di guardarsi il polpaccio per verificare la grandezza della crosticina e che non spurgasse ancora sangue o pus. 
Non era sicuro se stava vedendo o sognando. La crosticina, che aveva tolto, aveva aperto un piccolo buco sopra ad un bubbone. Tutto faceva pensare ad un grande foruncolo, che, automaticamente, cercò di schiacciare per fare uscire il solito liquido giallastro. 
Oramai se ne stava disinteressando, per tornare finalmente a dormire, quando con l'ultima occhiata vide una e poi due vespe uscire dal bubbone.  Quel bubbone sembrava più un bozzolo, un nido.

Le vespe iniziarono a volargli attorno. 
Ale non ricordava di aver sentito, durante la giornata, una puntura di insetto, neanche durante il suo lungo della mattina, ma visto i luoghi attraversati, non lo poteva escludere. 
Comincio ad essere infastidito dalla situazione, oltre che leggermente impaurito. 
Le vespe sembravano fare una macabra danza e continuavano a ronzargli attorno.  Che lo vedessero come la loro regina? 
Una di loro andò sotto l'ascella sinistra. Ale resistette per un po' ma poi fu più forte il desiderio di scacciarla. Con la mano destra la fece ruzzolare nell'aria. Questa non gradì, pungendolo sulla spalla sinistra. Anche tutte le altre, senza alcun ragionamento prevedibile, copiarono la loro gemella scagliandosi su Ale.
Solo quel giorno Ale scoprì di essere allergico alla puntura di vespa. Lo scopri con suo malincuore o meglio .... crepacuore.

Alcuni giorni dopo, i vicini di casa chiamarono la disinfestazione per un fastidioso nido di vespe sotto la grondaia della camera di quella vicina casa, oramai sfitta, che era stata di Ale.



 by Doris Lorenzo