sabato 24 settembre 2016

Come sapere quando è il momento di rinunciare?

Trail: come sapere quando è il momento di rinunciare e ritirarsi da una gara?

Un momento ti senti giù, hai un dolore che si risveglia o hai avuto un piccolo infortunio proprio in gara ... ed ecco, settimane e settimane di allenamenti sembrano andare in fumo. Si dovrà a questo punto rinunciare o perseverare?

Durante una gara ed in particolare di un ultra trail, la questione diviene complessa e molto incerta. 
E' comune per un atleta, anche tra i migliori, avere alti e bassi in una gara di endurance, passando attraverso momenti difficili, trovandosi sul punto di mollare e poi miracolosamente ritrovare l'energia per finire la gara o sentirsi invadere dal buon umore. Con questa prospettiva è difficile decidere con un 'sentire' di un singolo momento. Si può dedurre che tutto si gioca nella testa dell’atleta e la prestazione finale a volte sembra da attribuirsi a qualcosa di "magico avvenuto nella mente".
Questa affermazione la si sente sempre più spesso, e proviene indistintamente da tutti gli atleti, forti e meno forti. Sembra un'espressione vaga, nebulosa, poco 'allenabile'...troppo 'esoterica'. 

Nella mia ricerca di testare questa affermazione, ho avuto modo di comprendere il funzionamento dell'individuo durante lo sforzo (fisiologico + psicologico), scoprendo in prima persona: che la magia può unirsi/fondersi, con la parte razionale di noi, 'annacquando' quest'ultima, rendendoci ... più forti. Senza questa consapevolezza, la rinuncia è velocemente associabile ad un ‘debole di mente’, mentre a volte, quando non è il dolore od un infortunio a fermarci, è proprio la mancanza di questa alchimia. Non è 'debolezza di mente', ma forse il suo contrario: troppo ragionamento. Qualcuno scrisse: "perdersi per ritrovarsi."


Perché si rinuncia quindi? Quali sono le maggiori motivazioni?

Le cause di abbandono sono molteplici, ma le ragioni principali mediamente assunte ed esplicitate dagli atleti sono:

-  scarsa preparazione;
- lesioni in corsa (caduta, distorsione ...), acutizzazione di lesioni precedenti (tendiniti, contratture ...);
-  disturbi digestivi, cattiva gestione durante la gara;
-  incapacità di gestire i cancelli, le barriere orarie;
- perdita di motivazione in ciò che si sta facendo, perdita di interesse;

Su un percorso ultra/endurance, non è insolito avere, dopo il primo terzo di gara, molti abbandoni. Questi possono raggiungere anche il 50% quando le condizioni meteo sono difficili.


Ma quando rinunciare, dunque?

Partiamo da un 'infortunio'.
E' difficile per un atleta rinunciare 'semplicemente' se infortunato ... “un po' più avanti ancora”, “dai che il dolore passerà, che la forma tornerà, la ferita scompare” ... ma nel 90% dei casi non sarà così. Molto dipende da quanto tempo si sta correndo e quanto manca alla linea di finisher. Se la lesione si risveglia troppo presto, sarà inutile insistere e compromettere il resto della stagione, a volte compromettendo anche la stagione successiva. Se, infatti, non si è in grado di risolvere il problema e rimangono ancora molte ore di gara, con un infortunio serio, è inutile e dannoso proseguire. Forse era meglio neanche essere partiti ... e non ci troveremmo così a gestire un ritiro. In ogni caso, andare oltre la 'piccola morte' che rappresenta il ritiro, saper vedere oltre, accettare il giudizio, saper gestire la coscienza intima di ciascuno, saranno emozioni ed esperienze che è utile provare, prima o poi ... magari però solo una volta! ;-) 
Un buon suggerimento è quello di chiedere aiuto in questo processo decisionale. A chi?  Il problema è proprio capire chi ci si è portato nell'avventura: la famiglia, gli amici, o il vostro partner … questo rende  più o meno difficile la decisione condivisa. Queste persone, se interpellate, avranno comunque una prospettiva più distaccata per aiutarci a capire se smettere o meno. Oggettivamente, l'abbandono è un piccolo momento di tragedia personale (in base al valore che ha l'obiettivo), è la triste fine di mesi di preparazione. Con saggezza però, la decisione da prendere, deve essere presa lontano dall'emotività del momento e dalla nostra sterile testardaggine. Una persona esterna, non coinvolta, potrà vedere la cosa in modo più oggettivo.
In generale: dobbiamo rinunciare quando la nostra integrità fisica è in gioco, nel breve, medio e lungo termine.


Quando invece possiamo/dobbiamo continuare?

È interessante mettere anche questa domanda per capire meglio la questione. Io cerco sempre di analizzare i miei, ed altri ritiri, per comprenderne l'aspetto mentale (quando non sia evidente che la causa è stato un infortunio).
Ho detto infatti che siamo in grado di continuare fino a quando non c’è un infortunio ... Si può (e a volte si deve) saper soffrire 'terribilmente', in alcuni momenti di una gara si sarà in crisi, crisi che sembra non passi, ma poi sappiamo che torneranno i momenti euforici, sappiamo che passa … per poi, poche ore dopo, magari avvicinarsi nuovamente all’oblio. "E’ il Trail, bellezza!" Non ci si deve ritirare per questo.
Restiamo concentrati  sull’obiettivo e supereremo qualsiasi dolore. Conoscere, avendoli provati, che questi momenti fanno parte delle ultra/endurance, che non possiamo evitarli, che dobbiamo aspettarceli, gestirli...goderne. Forse è anche questo che cerchiamo nel trail...un po' di sano masochismo. Che sia un ingrediente delle nostre personalità di trail runners!? ;-) E se saremo caparbi, vedendo sempre il lato bello di questo sport, allora coglieremo la possibilità di attrarre la magia del trail. 

Parliamo della 'testa'.
La possibilità di un ritiro a causa della preparazione psicologica non all'altezza è un ritiro che non deve accadere. Perché è gestibile anche in corsa, in gara. 
Un suggerimento. Se partiamo dandoci la libertà di abbandonare, di ritirarci, non involvendosi nella sua paura, vivremo pienamente il momento presente della gara … riducendo le possibilità di un ritiro. Perché? Perché l'abbandono non sarà un peso, ma una semplice possibilità ... che il più delle volte non ci interesserà cogliere! Sapere che serenamente ci si è dati la possibilità di mollare quando vogliamo ... ci aiuterà a non mollare per un banale problema psicologico. 
La serenità è una grande forza! E' magia.


Post Scriptum.
Non mi soffermo sul ritiro per cause meteo o di terreno imprevisto. Dal mio punto di vista è 'un'infamia' non aver preparato un uscita guardando il meteo, l'altitudine e il tracciato; avrò sempre con me tutto il minimo necessario che mi permetterà di finire la gara (al di là del 'materiale obbligatorio' prescritto). Chi si trova a gestire un ritiro così è un runner e non un trail runner. Non entra nella casistica di questo scritto!
;P


sabato 10 settembre 2016

Trail Running come riscatto

TRAIL RUNNING COME RISCATTO 

A volte leggo articoli su forum, blog, riviste che mi portano lontano dal trail running, da questa attività sportiva che mi appassiona, che mi dona ed ha donato molto.
Tra le tante pieghe interpretative di questo sport, alcune mi sono care e tra queste, una in particolare, spero possa suscitare anche a voi interesse e condivisione.

Viviamo spesso più momenti della nostra giornata una vita di qualcun altro. Volenti o nolenti, non sempre facciamo quello che il nostro io vorrebbe fare, vorrebbe esprimere. A volte si rischia di esporsi troppo, di sembrare 'ridicoli', nascono paure. 
Spesso ci troviamo a fare del nostro meglio per essere chi vuole altri, per tenersi stretti un 'buon lavoro', per il 'quieto vivere', per mantenere precarie paci relazionali, per non creare dolore ad altri. 
Nessuno anela essere una 'pecora nera' e tutto diviene una faticosa strada in salita! 
Rompere lo 'stampo' al quale ci siamo uniformati e sul quale molti nutrono delle aspettative, le loro aspettative, ci vuole coraggio! 
Non dico che tutto ciò sia sbagliato...

...ma quando mi sento un caso senza speranza mi metto un paio di scarpe e vado a correre per i boschi, per crinali, per montagne. Il mio riscatto personale. 

Nel trail running, sono convinto, ritroviamo il nostro coraggio, abbandoniamo le paure, quasi godiamo del dolore e della fatica di una strada in salita! 
Ti senti libero, ti senti te stesso, puoi esprimerti! Puoi 'svestirti', puoi provare, puoi cantare, essere 'diverso', puoi ridere di questo .... sei fuori da qualsiasi condizionamento.

Lo credevo.
Quello che vedo ora è che si sta portando in questo sport (diverso dagli altri sport!) gli schemi della 'vita sociale', trasferendo le nostre 'sofferenze sociali' su altri come noi. Non cercando il nostro positivo riscatto, ma bloccando quello degli altri.

Si giudica attraverso gli occhi delle nostri 'fedi'. Senza aver provato a correre con le scarpe dell'altro. Vorremmo tutte persone conformate a noi. Le persone cambiano quando sono pronte e lo desiderano. Inutile obbligarle. Piuttosto, con il nostro esempio positivo potremmo essere dei 'messaggeri'. Ma sempre se chi ci vede 'diversi' non ci giudica subito negativamente! È tutto diventa un circolo vizioso e non virtuoso.

Ecco, lasciatemi quindi correre tra i boschi come sento che è espressione di me stesso, e lasciatemi vivere il trail running come avrei voluto fosse la mia vita (carnivora o vegetariana, minimalista o con i tacchi, frenetica o rilassata, estroversa od intima, ....). Il trail running è espressione di se stessi e di forti emozioni, è libertà.
Libertà di cui sento ne è ancora ...fortemente e fortunatamente ... intriso! 
È il mio momento di riscatto.


Se poi come dicono, l'uomo è una creatura profondamente malleabile e flessibile, dove l'ambiente in cui si trova ha un enorme effetto su di lui, influenzandolo enormemente se ci sta il tempo sufficiente. Beh, se è quindi vero che siamo destinati ad essere un prodotto del nostro ambiente, se l'ambiente del trail running è ancora un ambiente come sopra descritto, lo vedremo tra un po' riflesso su di noi ....