venerdì 21 ottobre 2016

Freedom

Freedom 

“Il conformismo è il carcere della libertà e il nemico della crescita.” 
John Fitzgerald Kennedy

So di essere fissato con la libertà. 
Mi sono stretti tutti i tipi di legami (nella mia vita ne ho scelti due, sono contento, ma sono sufficienti). In tutto quello che faccio, non voglio legare nessuna persona; persino la asd di cui sono presidente, non ha magliette di riconoscimento, stendardi, striscioni etc. Sono conscio che questo limita gli aderenti (l’uomo tra i suoi bisogni ha quello di appartenenza, è un bisogno innato, insito, istintivo) … ma io non riesco a ‘sfruttare’ questa opportunità per fare gruppo, iscritti, numeri. 
Io voglio essere libero da tutti questi legacci e circondarmi di persone altrettanto libere.

Ma cos’è la libertà? Quanti se lo chiedono davvero? (*)

La riflessione nasce da quanto mi è successo nelle ultime settimane di Settembre …

Io per primo sono schiavo del lavoro, degli impegni familiari, della burocrazia del vivere. Ma il tempo che mi rimane lo voglio come un foglio bianco dove scriverci la mia vita. Improvvisandola, stupendola, coinvolgendomi, emozionandola ed emozionandomi. Aperto al momento.

Un’ambito dove esprimere tutto questo è la corsa, il trail running.
Con mio terrore ed angoscia però sto trovando sempre meno amici e conoscenti liberi di andare, di correre e basta (vedi anche il mio articolo sul well-being).

No, non hanno mille impegni di lavoro, familiari, impegni burocratici dati dal vivere moderno (certamente anche), ma hanno mille impegni di sport. Beh, poco male, posso capire che per domani una persona si sia già programmata, e anche per il prossimo fine settimana. Comprensibile. 
“Come? Ah, tutto il mese hai già impegni di gare? No, scusa ho capito male: questo ed anche tutto il prossimo mese?!”. Ma cos’è un lavoro!?! Vuoi dirmi che un’uscita tra amici, un appuntamento particolare, coinvolgente e che difficilmente potrà ripetersi (magari per la presenza di persone che abitano lontano) … “non lo puoi programmare prima di tre mesi?!?”. 

Si, lo so che le gare importanti richiedono un’iscrizione anticipata di mesi … ma ogni domenica hai gare importanti, uniche? Sappiamo entrambi, invece, che ogni Domenica ci sono decine di proposte che si cannibalizzano i partecipanti! 

Ok, capisco, “ma per questa Domenica non puoi ‘fare uno strappo alle regola’? Ah, hai già pagato e ti spiace perdere i soldi dell’iscrizione”. Ok, quindi la tua libertà è stata quella di legarti, pianificarti, vincolarti per mesi?!

Ora comprendo anche perché se arriva un infortunio, od un impedimento vero, qualche atleta va fuori di testa. Forse stiamo vivendo anche la corsa, il trail running, lo sport (**) come un impegno. Posso capire l’agonista, il professionista. Ma tanti, non professionisti, lo stanno vivendo da professionisti, come un lavoro. Riappropriamoci del nostro tempo, della nostra libertà. Non è un dramma arrivare al Venerdì ed avere davanti il fine settimana ancora come un foglio bianco su cui scrivere. Potremo fare qualcosa di nuovo o lasciarci guidare dal cuore. Magari arriva proprio una telefonata (forse più realistico un messaggino WhatsApp) imprevista che ti apre un nuovo e fantastico scenario, e al più: “Chi non ama la solitudine non ama neppure la libertà, perché si è liberi unicamente quando si è soli.” 
Arthur Schopenauer

… e potresti essere proprio tu a proporre qualcosa di speciale liberando la tua immaginazione. Carpe diem. 


(*) Libertà: in latino i "liberi" sono i figli, e ancora oggi le liberalità sono i doni incondizionati. 

(**) Sport: dal latino deportare, composizione della parola de, che significa allontanamento, e portare, proprio del suo significato. Quindi deportare significa portarsi lontano, e questo portarsi lontano stava a significare uscire fuori porta dalle mura cittadine per svolgere attività fisiche. 


sabato 24 settembre 2016

Come sapere quando è il momento di rinunciare?

Trail: come sapere quando è il momento di rinunciare e ritirarsi da una gara?

Un momento ti senti giù, hai un dolore che si risveglia o hai avuto un piccolo infortunio proprio in gara ... ed ecco, settimane e settimane di allenamenti sembrano andare in fumo. Si dovrà a questo punto rinunciare o perseverare?

Durante una gara ed in particolare di un ultra trail, la questione diviene complessa e molto incerta. 
E' comune per un atleta, anche tra i migliori, avere alti e bassi in una gara di endurance, passando attraverso momenti difficili, trovandosi sul punto di mollare e poi miracolosamente ritrovare l'energia per finire la gara o sentirsi invadere dal buon umore. Con questa prospettiva è difficile decidere con un 'sentire' di un singolo momento. Si può dedurre che tutto si gioca nella testa dell’atleta e la prestazione finale a volte sembra da attribuirsi a qualcosa di "magico avvenuto nella mente".
Questa affermazione la si sente sempre più spesso, e proviene indistintamente da tutti gli atleti, forti e meno forti. Sembra un'espressione vaga, nebulosa, poco 'allenabile'...troppo 'esoterica'. 

Nella mia ricerca di testare questa affermazione, ho avuto modo di comprendere il funzionamento dell'individuo durante lo sforzo (fisiologico + psicologico), scoprendo in prima persona: che la magia può unirsi/fondersi, con la parte razionale di noi, 'annacquando' quest'ultima, rendendoci ... più forti. Senza questa consapevolezza, la rinuncia è velocemente associabile ad un ‘debole di mente’, mentre a volte, quando non è il dolore od un infortunio a fermarci, è proprio la mancanza di questa alchimia. Non è 'debolezza di mente', ma forse il suo contrario: troppo ragionamento. Qualcuno scrisse: "perdersi per ritrovarsi."


Perché si rinuncia quindi? Quali sono le maggiori motivazioni?

Le cause di abbandono sono molteplici, ma le ragioni principali mediamente assunte ed esplicitate dagli atleti sono:

-  scarsa preparazione;
- lesioni in corsa (caduta, distorsione ...), acutizzazione di lesioni precedenti (tendiniti, contratture ...);
-  disturbi digestivi, cattiva gestione durante la gara;
-  incapacità di gestire i cancelli, le barriere orarie;
- perdita di motivazione in ciò che si sta facendo, perdita di interesse;

Su un percorso ultra/endurance, non è insolito avere, dopo il primo terzo di gara, molti abbandoni. Questi possono raggiungere anche il 50% quando le condizioni meteo sono difficili.


Ma quando rinunciare, dunque?

Partiamo da un 'infortunio'.
E' difficile per un atleta rinunciare 'semplicemente' se infortunato ... “un po' più avanti ancora”, “dai che il dolore passerà, che la forma tornerà, la ferita scompare” ... ma nel 90% dei casi non sarà così. Molto dipende da quanto tempo si sta correndo e quanto manca alla linea di finisher. Se la lesione si risveglia troppo presto, sarà inutile insistere e compromettere il resto della stagione, a volte compromettendo anche la stagione successiva. Se, infatti, non si è in grado di risolvere il problema e rimangono ancora molte ore di gara, con un infortunio serio, è inutile e dannoso proseguire. Forse era meglio neanche essere partiti ... e non ci troveremmo così a gestire un ritiro. In ogni caso, andare oltre la 'piccola morte' che rappresenta il ritiro, saper vedere oltre, accettare il giudizio, saper gestire la coscienza intima di ciascuno, saranno emozioni ed esperienze che è utile provare, prima o poi ... magari però solo una volta! ;-) 
Un buon suggerimento è quello di chiedere aiuto in questo processo decisionale. A chi?  Il problema è proprio capire chi ci si è portato nell'avventura: la famiglia, gli amici, o il vostro partner … questo rende  più o meno difficile la decisione condivisa. Queste persone, se interpellate, avranno comunque una prospettiva più distaccata per aiutarci a capire se smettere o meno. Oggettivamente, l'abbandono è un piccolo momento di tragedia personale (in base al valore che ha l'obiettivo), è la triste fine di mesi di preparazione. Con saggezza però, la decisione da prendere, deve essere presa lontano dall'emotività del momento e dalla nostra sterile testardaggine. Una persona esterna, non coinvolta, potrà vedere la cosa in modo più oggettivo.
In generale: dobbiamo rinunciare quando la nostra integrità fisica è in gioco, nel breve, medio e lungo termine.


Quando invece possiamo/dobbiamo continuare?

È interessante mettere anche questa domanda per capire meglio la questione. Io cerco sempre di analizzare i miei, ed altri ritiri, per comprenderne l'aspetto mentale (quando non sia evidente che la causa è stato un infortunio).
Ho detto infatti che siamo in grado di continuare fino a quando non c’è un infortunio ... Si può (e a volte si deve) saper soffrire 'terribilmente', in alcuni momenti di una gara si sarà in crisi, crisi che sembra non passi, ma poi sappiamo che torneranno i momenti euforici, sappiamo che passa … per poi, poche ore dopo, magari avvicinarsi nuovamente all’oblio. "E’ il Trail, bellezza!" Non ci si deve ritirare per questo.
Restiamo concentrati  sull’obiettivo e supereremo qualsiasi dolore. Conoscere, avendoli provati, che questi momenti fanno parte delle ultra/endurance, che non possiamo evitarli, che dobbiamo aspettarceli, gestirli...goderne. Forse è anche questo che cerchiamo nel trail...un po' di sano masochismo. Che sia un ingrediente delle nostre personalità di trail runners!? ;-) E se saremo caparbi, vedendo sempre il lato bello di questo sport, allora coglieremo la possibilità di attrarre la magia del trail. 

Parliamo della 'testa'.
La possibilità di un ritiro a causa della preparazione psicologica non all'altezza è un ritiro che non deve accadere. Perché è gestibile anche in corsa, in gara. 
Un suggerimento. Se partiamo dandoci la libertà di abbandonare, di ritirarci, non involvendosi nella sua paura, vivremo pienamente il momento presente della gara … riducendo le possibilità di un ritiro. Perché? Perché l'abbandono non sarà un peso, ma una semplice possibilità ... che il più delle volte non ci interesserà cogliere! Sapere che serenamente ci si è dati la possibilità di mollare quando vogliamo ... ci aiuterà a non mollare per un banale problema psicologico. 
La serenità è una grande forza! E' magia.


Post Scriptum.
Non mi soffermo sul ritiro per cause meteo o di terreno imprevisto. Dal mio punto di vista è 'un'infamia' non aver preparato un uscita guardando il meteo, l'altitudine e il tracciato; avrò sempre con me tutto il minimo necessario che mi permetterà di finire la gara (al di là del 'materiale obbligatorio' prescritto). Chi si trova a gestire un ritiro così è un runner e non un trail runner. Non entra nella casistica di questo scritto!
;P


sabato 10 settembre 2016

Trail Running come riscatto

TRAIL RUNNING COME RISCATTO 

A volte leggo articoli su forum, blog, riviste che mi portano lontano dal trail running, da questa attività sportiva che mi appassiona, che mi dona ed ha donato molto.
Tra le tante pieghe interpretative di questo sport, alcune mi sono care e tra queste, una in particolare, spero possa suscitare anche a voi interesse e condivisione.

Viviamo spesso più momenti della nostra giornata una vita di qualcun altro. Volenti o nolenti, non sempre facciamo quello che il nostro io vorrebbe fare, vorrebbe esprimere. A volte si rischia di esporsi troppo, di sembrare 'ridicoli', nascono paure. 
Spesso ci troviamo a fare del nostro meglio per essere chi vuole altri, per tenersi stretti un 'buon lavoro', per il 'quieto vivere', per mantenere precarie paci relazionali, per non creare dolore ad altri. 
Nessuno anela essere una 'pecora nera' e tutto diviene una faticosa strada in salita! 
Rompere lo 'stampo' al quale ci siamo uniformati e sul quale molti nutrono delle aspettative, le loro aspettative, ci vuole coraggio! 
Non dico che tutto ciò sia sbagliato...

...ma quando mi sento un caso senza speranza mi metto un paio di scarpe e vado a correre per i boschi, per crinali, per montagne. Il mio riscatto personale. 

Nel trail running, sono convinto, ritroviamo il nostro coraggio, abbandoniamo le paure, quasi godiamo del dolore e della fatica di una strada in salita! 
Ti senti libero, ti senti te stesso, puoi esprimerti! Puoi 'svestirti', puoi provare, puoi cantare, essere 'diverso', puoi ridere di questo .... sei fuori da qualsiasi condizionamento.

Lo credevo.
Quello che vedo ora è che si sta portando in questo sport (diverso dagli altri sport!) gli schemi della 'vita sociale', trasferendo le nostre 'sofferenze sociali' su altri come noi. Non cercando il nostro positivo riscatto, ma bloccando quello degli altri.

Si giudica attraverso gli occhi delle nostri 'fedi'. Senza aver provato a correre con le scarpe dell'altro. Vorremmo tutte persone conformate a noi. Le persone cambiano quando sono pronte e lo desiderano. Inutile obbligarle. Piuttosto, con il nostro esempio positivo potremmo essere dei 'messaggeri'. Ma sempre se chi ci vede 'diversi' non ci giudica subito negativamente! È tutto diventa un circolo vizioso e non virtuoso.

Ecco, lasciatemi quindi correre tra i boschi come sento che è espressione di me stesso, e lasciatemi vivere il trail running come avrei voluto fosse la mia vita (carnivora o vegetariana, minimalista o con i tacchi, frenetica o rilassata, estroversa od intima, ....). Il trail running è espressione di se stessi e di forti emozioni, è libertà.
Libertà di cui sento ne è ancora ...fortemente e fortunatamente ... intriso! 
È il mio momento di riscatto.


Se poi come dicono, l'uomo è una creatura profondamente malleabile e flessibile, dove l'ambiente in cui si trova ha un enorme effetto su di lui, influenzandolo enormemente se ci sta il tempo sufficiente. Beh, se è quindi vero che siamo destinati ad essere un prodotto del nostro ambiente, se l'ambiente del trail running è ancora un ambiente come sopra descritto, lo vedremo tra un po' riflesso su di noi ....

mercoledì 29 giugno 2016

Running vuol dire correre!

RUNNING VUOL DIRE CORRERE!


Ne ho già parlato...
Lo penso da molto tempo...
Ed un articolo apparso su 4Running a firma di Ignazio Antonacci e quello di Tommaso De Mottoni su Skyalper di qualche tempo fa, mi fanno però tornare su l'argomento che con loro condivido.

Quanto si cammina durante un Ultra Trail? (Sopra i 50 km)
Se si cammina per molto tempo (anche nei tratti di piano e/o discesa) si può dire di aver fatto del Trail Running? O è stata una bella escursione?

Lo so, forse sono rimasto uno dei pochi che dà peso e valore alle parole. 
Spesso, per evitare di dover fare il conto con il significato delle stesse, vedo si ricorre a parole inglesi, ma anche in questo caso, se usate correttamente: il jogging, il running, il nordic walking, il trekking hanno valenze diverse...non si può scappare.

Io amo la corsa, ma ho una famiglia, un lavoro e della vita sociale, ed allenarmi per correre un'Ultra non mi è possibile. 
La preparazione per una gara di ultra Endurance prevede diversi mesi. Di contro una preparazione limitata ed approssimativa incide seriamente sulla condizione fisica del periodo post competizione...e probabilmente poi il conto esce in là negli anni. Inoltre, dal punto di vista tecnico va a scapito della tecnica di corsa, dell'elasticità e della reattività, oltre a far incorrere spesso nel rischio di infortuni. Parlo per gli amatori come me; i professionisti lavorano in condizioni completamente diverse. 
Camminare per lunghi tratti, rinunciando così a correre perché non c'è stato il tempo per una preparazione mirata con conseguenti limitazioni fisiche ed oggettive, mi fa propendere per il non partecipare a queste competizioni. E se lo faccio in questo modo, per essere onesto con me stesso (prima che con gli altri), dico di aver partecipato ad una bellissima escursione, ad un bellissimo trip, ad un trekking veloce, ma non ad una gara di corsa. Purtroppo sono convinto che se si sostituisce la camminata per molti km di un tracciato, non si può parlare di corsa. Personalmente ritengo che la corsa è corsa, e a chi piace correre, come a me, sia inutile ostinarsi a partecipare a gare di Ultra Trail (in particolarmodo se poi lo si fa non per se stessi ma per gratificazioni ed autostima nutrite dagli altri!). 
Mi dedico quindi a lunghezze che posso allenare ed affrontare con il gesto tecnico, elastico e naturale della corsa. Io voglio correre in montagna...cioè fare del Trail Running, ma come detto faccio anche escursionismo, arrampicata, trekking, alpinismo, etc. ma questa è un'altra storia.

In questo senso preferisco ultra a tappe che a tappa unica, proprio perché in quelli riesco a correre tutte le tappe ed è il mio divertimento preferito! (Oppure gare di SkyRunning dove i cancelli stretti mettono il pepe sul .... ;-))
Il recupero è molto meno lento e posso mettere in programma più gare ultra ed uscite autonome nell'arco di un anno. Questo mi mette anche in condizione di avere minori danni fisici che potrebbero insorgere più in là nel tempo. A cui non riusciremo a dare una spiegazione...ma che sono collegati agli stress che il nostro corpo ha subito e...non dimentica.

Sono conscio che fare un Ultra Trail oltre i 50 km è grandioso per il godimento dei paesaggi, per la completa immersione nella natura, per la filosofia del viaggio...li faccio anch'io. Li faccio in autogestione o con iscrizione. Ma per me, per come li posso affrontare, sono un'altra attività che si chiama escursionismo.
Voglio essere onesto con me stesso...e con gli altri. 

Ovvio che ognuno è libero di fare come crede, ma togliamoci la maschera quando diciamo di aver concluso una gara di corsa in montagna di 100 km....sapendo che buona parte del percorso è stato un bellissimo trekking...e pace all'anima nostra. 

Io la penso così e nella mia testa ogni gara Ultra ha un tempo massimo per essere considerata eseguita di corsa (considerando i dislivelli positivi e la pendenza che li rende ovviamente non corribili), oltre il quale, beh ... l'avete capito: da Mountain Runner si passa ad Escursionista Veloce. Perché le parole hanno un senso e plasmano la realtà!





lunedì 23 maggio 2016

La responsabilità individuale

Primiero
23 maggio 2016


La responsabilità è individuale
È giunta l'ora che ci si prenda le responsabilità per quello che decidiamo di fare, anche partecipare alle gare

Perché in America non esiste il materiale obbligatorio?

Nella cultura americana è molto più radicata, che da noi, l'idea della responsabilità individuale: sta, infatti, al singolo avere l'esperienza per poter valutare le condizioni che troverà in gara. L'organizzazione è tenuta a darti un'idea delle condizioni che potrai trovare, ma sarai tu a valutare al mattino cosa portarti dietro per arrivare alla fine: sul sito di ogni gara, dalle più importanti a quelle di paese, trovi dettagliate solo le possibili condizioni meteo e del sentiero, in base al periodo di gara.

Cosa cambia rispetto ad un'uscita che ti organizzi, diciamo per allenamento? Può la sola presenza dell'organizzazione migliorare le tue condizioni/capacità e/o le 'pericolosità' della location (montagna, deserto, etc.)? No!!
Le condizioni meteo sono estremamente mutevoli in montagna ed è importante passi il messaggio che il singolo deve essere capace ed autosufficiente nell'affrontare e valutare condizioni avverse. Certo, in ultima istanza, arriveranno i soccorsi....ma dopo quanto tempo?
Ricordo che negli anni '70/'80 chiamare il Soccorso Alpino era un'onta! Oggi sembra il contrario, sembra sia una cosa da raccontare: è un'avventura di valore essere stati Soccorsi(!?!).

L'organizzazione dovrebbe avere il solo dovere di dare tutte le informazioni su meteo e tracciato, evidenziare la frequenza e fornitura dei ristori, nei percorsi molto lunghi dare la possibilità di posizionare delle sacche di cambio (anche più di una), insomma minimizzare le possibilità di trovarsi in difficoltà. Adottando delle flessibilità, anche dell'ultimo momento, a seconda delle previsioni meteo previste: in una giornata più calda del previsto aggiungere un ristoro d'acqua, in una giornata prevista di continua pioggia, permettere di trovare una sacca cambio a metà gara (ovviamente in base alla lunghezza del percorso).
Per il resto ognuno corra in base alla propria capacità ed esperienza e prepararsi a situazioni che mutino rispetto alle previsioni...conscio della propria responsabilità individuale. Pur consapevoli della presenza di un 'soccorritore' sempre in allerta (l'Organizzazione, il Soccorso Alpino, i Volontari, etc.).

La realtà da noi purtroppo è un'altra!

Gli organizzatori vivono perennemente sul filo del rasoio, rischiando di continuo denunce e problemi per organizzare una gara. La responsabilità, in caso di incidente, è loro ed a nulla servono le liberatorie fatte firmare. Stipulano assicurazioni onerose, fanno piani sanitari, attivano piani di emergenza i cui costi devono essere spalmati su più persone e quindi il numero dei partecipanti deve crescere enormemente oppure ci si troverà a pagare alti 'contributi' di iscrizione (anche se noto il proliferare di gare con sempre più partecipanti e costi d'iscrizione sempre più alti !?! È un controsenso .... a meno che non si intenda far cassa...). E così si trovano lunghi elenchi di materiale obbligatorio persino in alcune gare di vertical! 
Tutto per essere ligi alla normativa che vuole che gli organizzatori dimostrino di aver fatto tutto il possibile per 'mettere in sicurezza' i partecipanti. Ma è una cosa che può avvenire in un contesto montano??

Le “beghe” burocratiche non fanno parte dei miei interessi, e mi allontanano ancora di più da queste gare trail italiane fatte di pezze burocratiche nate per proteggersi da attacchi di avvocati facinorosi mossi da atleti 'imprudenti'.
Preferisco salire e correre da solo, dove la sicurezza è dentro la mia testa e non demandata fuori.  
Rispetto e temo la montagna, e voglio essere io a dire “Basta va bene così, torno a casa”....sapendo di avere le capacità, mentali e fisiche, per farlo.


PS. L'amica Tite Togni ha avuto la fortuna di visionare insieme a Kilian il percorso della Tromso Sky Race 2015. Essendosi resa conto della tecnicità e della pericolosità del percorso ha ingenuamente chiesto al 're': ”Ma in caso di pioggia cosa fa l'organizzazione?” Kilian tra il sorpreso e il divertito rispose: “l'anno scorso nevicava...”.


giovedì 28 aprile 2016

Sei un Trail Runner ?

Primiero San Martino di Castrozza (TN)
29 aprile 2016


Chi è nato prima?
È nato prima il Trail Running o le gare di Trail Running?

A me sembra che sia invalsa l'idea che un Trail Runner è colui che partecipa a gare di  Trail Running.
Vorrei invece dare la giusta collocazione a questo sostantivo: "il Trail Running è una specialità della corsa a piedi che si svolge su sentieri in natura (montagne, deserto, bosco, pianura e collina) con tratti pavimentati o di asfalto limitati, che al massimo e in ogni caso non devono eccedere il 20% del totale della lunghezza del percorso." 
In tutte le definizioni di Trail Running, giustamente, non si fa riferimento all'agonismo o alle gare. 
Anzi...

....ma prova a seguire il mio ragionamento:

"Il termine trail appartiene alla lingua inglese col significato di 'traccia', 'pista', 'sentiero'. Il termine fu inizialmente adoperato dagli emigranti negli USA del 19° secolo per indicare i percorsi aperti nei nuovi territori in via di esplorazione, come per esempio l'Oregon Trail o il California Trail. Il termine è stato successivamente ripreso per indicare un generico sentiero naturale che unisce posti lontani, come ad esempio l'Appalachian Trail o il più recente Pacific Crest Trail." [Wikipedia]

Lungo una porzione di uno di questi trail, nel 1977, fu organizzata una delle prime corse di Trail Running (scarica History Trail - NdA): il Western States Trail, che unisce Salt Lake City nello Utah a Sacramento in California. Quello che poi diventerà la Western States Endurance Run; una delle gare di corsa a piedi di 100 miglia (circa 161 km) più famosa d'America. A questa seguirono altre competizioni simili, contraddistinte inizialmente dalla qualificazione di "Endurance Run", ovvero "corsa di resistenza". Quindi, il Trail Running esisteva già da tempo quando la disciplina divenne una gara. 
Anzi...sono le gare che fanno proprie le 'regole' del trail, che tuttora sono oggetto di sistemazione. 
Infatti, la ITRA (International Trail Running Association), organizzazione sportiva internazionale sorta nel luglio 2013, ha tenuto recentemente la sua prima conferenza, il 3 settembre 2012 a Courmayeur, con partecipanti provenienti da 18 paesi nel mondo. Il risultato di tale conferenza è stato quello di proporre una definizione internazionale di 'trail running'; una carta etica delle competizioni; una politica in fatto di salute e antidoping; un sistema in tema di valutazione internazionale delle competizioni; una gestione ragionevole degli atleti di spicco. 
Ma è la 'gara' che riceve dalla ITRA la maggior attenzione. 
"Il percorso di una competizione di trail running può essere di vario genere: sentiero roccioso; sentiero di bosco (sentiero largo oppure single track); strade sterrate; con eventualmente tratti pavimentati o di asfalto limitati, e che non devono eccedere il 20% del totale della lunghezza. Il percorso deve essere correttamente segnalato. La corsa è idealmente, ma non necessariamente, in semi-autosufficienza o autosufficienza idrica e alimentare, e sempre nel rispetto dell'etica sportiva, onestà, solidarietà e nel massimo rispetto dell'ambiente in cui si corre. Questi percorsi si snodano su sentieri inaccessibili per diversi chilometri, di solito, ed attraversano colline, montagne, altopiani, boschi ed in generale remote zone naturali. La natura stessa del percorso rende il trail running particolarmente impegnativo sia per il profilo altimetrico che per la tipologia di terreno sconnesso sul quale si corre."
Insomma hanno cercato di far entrare nella disciplina agonistica quello che è lo 'SPIRITOTRAIL'....forse generando l'equivoco di partenza: chi fa del Trail Running è già in possesso dello spirito della disciplina, e sono le gare e gli organizzatori a doverlo replicare....sono queste ultime a dover dimostrare di essere 'Trail Runner Race'! 

Mi sembra evidente che c'è tutta una filosofia dietro al Trail Running!  Una filosofia che si nutre anche di aspetti etici quali:
Autenticità: il trail running è un'attività autentica nel senso che è praticata in armonia con la natura e con gli altri, all'insegna della semplicità, della convivialità e del rispetto per ogni tipo di differenza.
Umiltà: che consiste nell'accettazione dei propri limiti al cospetto della natura, e nella consapevolezza dei rischi che questa può presentare.
Fair play: basato sulla lealtà sportiva nella competizione, sul rispetto delle regole e sulla mutua solidarietà con gli altri concorrenti.
Equità: che si manifesta nell'offrire indistintamente a tutti i concorrenti gli stessi benefici indipendentemente dalle loro capacità.
Rispetto: rispetto per la natura, per gli altri concorrenti e non ultimo, per se stessi.

Oltre ad uno sport (o forse è lo Sport) è uno stile di vita, un modo di vivere la corsa, prima che una competizione. Le competizioni sono altro, o meglio, dovrebbero essere le migliori interpreti di questo modo di correre, di questa disciplina, di questa filosofia. Di questo 'spiritotrail'. Siate dunque selettivi! E vivete il Trail Running ogni giorno, al di là delle 'competizioni'.

È bello, credo a questo punto, poter immaginare che forse c'è tanto 'popolo' trail (o forse di più) che non gareggia e che ama solo correre in natura, di quanto ce n'è che riempie Facebook di foto di traguardi e risultati cronometrici!

PS. Infine mi domando, ma facciamo Trail Running  per la medaglia di finisher o perché ci piace questo sport? Partecipiamo per vederci su una lista con un tempo cronometrico di fianco o perché ci piace correre in natura? Per il pacco gara (che paghiamo profumatamente) o per le emozioni che viviamo in compagnia? 
Perché allora non cominciare a selezionare ed essere critici sulle gare e non organizzare dei flash-mob senza premi e classifiche, organizzazioni e volontari, e godersi la corsa in centinaia di persone, così solo perché ci piace? 
Può essere un'idea?


domenica 3 aprile 2016

Alpin Running

Bassano del Grappa (VI)
13 Maggio 2016


Si scrive RunBikeClimb ma si legge Alpin Running
Un modo di andare per Dolomiti che mi appartiene...un ritorno alle origini?

Non è corsa e non è alpinismo, ma una via di mezzo, su itinerari senza grosse difficoltà tecniche e soprattutto senza chili di troppo. Viene definita la nuova moda in stile Killian, ma siamo sicuri? Non è che tutto sia figlio della sua epoca?
Ricordo di aver iniziato a 'correre' in montagna con un amico, Enrico Ferraro, con il quale percorrevamo lunghi itinerari nelle Dolomiti, concatenando cime e ferrate. Ci divertiva godere dei luoghi e dei panorami, ma anche ridurre i tempi di percorrenza indicati 'ufficialmente' dal Club Alpino Italiano. Da alpinisti e rocciatori cercavamo itinerari tecnici che ci facessero sì divertire...ma anche impegnare. Non esistevano ancora gare 'ufficiali'.
Ovviamente utilizzavamo i materiali che gli anni '80/'90 ci offrivano. I produttori non puntavano sulla leggerezza come oggi, ma sulla sicurezza, binomio che solo ora, con grandi investimenti e ricerche tecnologiche, le aziende ci offrono.

Qualche anno fa ho guardato con simpatia la nascita dei Trail Autogestiti, che nella mia visione (forse miope) non sono altro che le normali gite/uscite in montagna, con lo zaino, che da sempre innumerevoli escursionisti fanno. Certo è cambiata forse l'andatura. Ma non ne sarei totalmente sicuro! Voglio dire che quello che è cambiato sicuramente sono i materiali: più leggeri, più performanti, più sicuri, aiutandoci ad essere più veloci, più rapidi. Ma per il resto chiamiamo con nomi nuovi cose 'vecchie'. 

Mi colpisce la frenesia che si sta muovendo intorno al modo di andare in montagna di Killian e che molti stanno adottando, imitando. Negli anni passati altri 'alpinisti veloci' hanno realizzato imprese simili (Brunod, Messner, Profit, etc.), ma quello che Kilian trasmette (consapevolmente o inconsapevolmente) è la facilità e la semplicità con cui fa queste ascensioni.
Ma siamo sicuri sia così? 

Credo che dietro a queste 'imprese' ci sia tanto allenamento, sacrificio, profonda conoscenza di sé e della montagna. Molta passione e precisione! 
Imitarlo? 

Per me è un 'ritorno alle origini'...cambiando l'involucro, il packaging...e il nome, ma è quello che praticavo con Enrico già negli anni '80/'90. Non credo quindi sia solo l'effetto Killian. È la somma di tutto il mio bagaglio esperienziale in montagna che mi ha portato al RunBikeClimb (o AlpinRunning): un punto di sintesi. 

Le aziende spingono molto su prodotti sempre più leggeri e sicuri, e questo allarga il bacino di persone che si appassionano a questo andare in montagna. I nuovi materiali aiutato ad essere più veloce; ad avere imbrago, caschetto, zaino, più leggeri e sicuri; le scarpe sono più reattive, miglior grip e l'abbigliamento si adatta meglio alle condizioni meteo variabili. 
Gli slogan, i video, le pubblicità dei principali marchi outdoor portano a conoscere questa filosofia a più persone ed il bacino di praticanti si allarga.
Attenzione però, l'andatura (la velocità), la lunghezza dell'itinerario programmato, le difficoltà scelte, devono essere correlate non ai 'magici' materiali ma alle capacità e all'esperienza di ciascuno di noi.

Dimenticando poi il cronometro in queste uscite (almeno per noi non prof), c'è tutto un mondo da esplorare e tra questo i nostri propri limiti...fatene un vostro obiettivo.

E' così che io mi diverto ad 'inventare' giri ed uscite che hanno tutto il sapore vintage ma che trovo ora godono di un inaspettata giovinezza!

RUN FREE TO THE TOP OF THE MOUNTAIN

 

mercoledì 16 marzo 2016

I corridori dell'inutile

Bassano del Grappa (VI)
13 marzo 2016


I corridori dell'inutile
Riflessioni sull'inutilità della Corsa in Montagna

Sistemando alcuni scaffali ho rivisto e sfogliato libri risalenti al periodo in cui mi affacciavo all'alpinismo, libri fondamentali nella cultura alpinistica.
Di libri di montagna ne ho letti e ne leggo tanti. Le emozioni che mi fanno vivere si intersecano ai momenti, agli affetti, ai panorami, che di volta in volta ho potuto realmente vivere e che ritrovo nei momenti di lettura. 

In uno di questi libri, 'I Conquistatori dell'Inutile', Lionel Terray riesce a profondere una tale densità di emozioni che, questa sua biografia pubblicata nel 1961, diviene un classico da leggere per chi ama andare in montagna. Nelle pagine di Terray c'è la montagna in toto: dallo sci con cui inizia, giovane squattrinato, al cercare di trovare un momento di equilibrio nella vita anche sotto il profilo economico, alle prime arrampicate condotte con amici sempre diversi e poi in coppia con alpinisti indimenticabili. Passano con una velocità impercettibile montagne aspre e taglienti come coltelli acuminati: viene vinto l'Eiger, lo Sperone Walker,  il Pizzo Badile, per arrivare poi all'Annapurna di Herzog ed al Fitz Roy, in una cavalcata alpinistica che non termina mai. 
A volte la penna dell'alpinista lascia intravedere profondi squarci dell'anima dell'uomo che non sa darsi pace e non sa godere di un solo momento della propria vita in cui potersi fermare pochi battiti di ciglia e respirare la montagna nella sua purezza. Con saggezza ed estrema lucidità fa però capire come tutto questo sia effimero....appunto, inutile.

La verità spesso è crudele e fa male, ma è oggettiva: scalare, correre, camminare per i monti è un'attività utile solo per se stessi, è un valore relativo rispetto a chi la esegue. Non ha un valore assoluto. Quello che per me è fantastico, difficile, emozionante per altri potrebbe essere un'impresa esagerata od una sciocchezza. È in relazione a me stesso che l'andare per montagne ed il modo di andarci assume rilevanza. 
La pratica in se posta in relazione a qualsiasi altra persona è un'azione assolutamente inutile! 
Per osmosi, quindi, anche il correre in montagna è qualcosa di inutile, di effimero, che trova valore solo in relazione a chi lo pratica. Impossibile che una corsa, tra i monti, breve o lunga che sia, rivesta lo stesso valore, emozione, intensità, tra persone diverse. 
Però, questa preziosa inutilità trova un suo senso d'essere quando incrocio, alla fine di una corsa, lo sguardo affaticato di un Trail Runner la cui gioia di vivere irrompe intensa nei miei occhi! 

Veramente ogni altra parola diviene...giustamente inutile....come quel vissuto per gli altri.

martedì 8 marzo 2016

L'Istruttore di Trail Running


Bassano del Grappa (VI)
12 Gennaio 2016


L'Istruttore di Trail Running
Una figura professionale controversa

Dalla sua introduzione, l'Istruttore Tecnico di Trail Running ha movimentato i forum, i blog e i siti di settore. Le fazioni, pro e contro, rimangono ancora molto lontane tra loro. 
Io la vedo così.
Il Trail Running viene comunemente tradotto in Corsa in Natura o Corsa in Montagna.  Ci troviamo davanti quindi a due parole: Corsa e Natura/Montagna. Il primo è un gesto tecnico, come scalare, nuotare, etc. Un gesto che molti ritengono 'naturale' ma che generalmente non viene interpretato nel suo modo 'naturale', intendo nella sua vera natura. Ciò sottintende che questo gesto 'naturale' in molti casi richiede una correzione tecnica, un intervento di un 'esterno' per correggere eventuali 'errori' a cui poi un professionista può dedicare il tempo necessario. 

Seppur l'Istruttore di Trail Running ha le conoscenze tecniche di questo gesto 'corretto', e quindi la sua utilità comincerebbe a trovare forma, non è propriamente la sua materia [1] e non è l'argomento di questo articolo.

Probabilmente dovuto al mio background di Istruttore di Alpinismo e frequentatore di ambienti con Accompagnatori di Media Montagna, voglio soffermarmi invece sulla seconda parola: Natura/Montagna.

Camminare è un gesto anch'esso naturale, libero, semplice....eppure, per camminare in montagna molti si affidano ad Accompagnatori ad Istruttori, a Guide come sopra [2]. 
Perché? 
Perché non è il 'gesto naturale' che necessita di conoscenza, ma è l'ambiente in cui ci si muove che ne determina la difficoltà. Per chi conosce la natura (deserti, ghiacci, foreste) e la montagna, tutto è semplice e scontato, ma non lo è per chi si avvicina a questi territori. Fuori dalle gare, dove l'organizzazione è un 'angelo custode', ciascuno deve avere le conoscenze e le competenze per godere del gesto di correre in questi ambienti, non sempre per tutti conosciuti ed, anzi, a volte ostili. 
Le polemiche e le richieste di far pagare gli interventi del Soccorso Alpino di quest'estate sono causate da un incremento delle richieste di intervento, a volte anche per motivi futili, dati dall'aumento della frequentazione della montagna, senza l'adeguata preparazione. 
Mi ricordo che per noi 'vecchi alpinisti' chiamare il Soccorso era un'onta, oggi ... fa figo. 
Ma non è un servizio scontato! 
Se un Istruttore di Trail Running può trasferire conoscenza e consapevolezza di come godere della corsa in Natura ed in Montagna in sicurezza (per se stessi e per gli altri), ha la dignità di esistere pari a tutte le altre figure [2].  

Un'altro aspetto che non deve essere dimenticato è la cultura che questa figura ha l'obbligo di diffondere; la cultura storica della disciplina (il famigerato 'spiritotrail') e la cultura della protezione dell'ambiente dove si svolge la propria attività. La Natura e la Montagna sono luoghi fragili, dall'equilibrio naturale che va preservato. L'Istruttore di Trail Running è un paladino di questo aspetto.

Io ho percorso centinaia di vie di arrampicata, attraversato deserti, corso su innumerevoli sentieri di montagne di tutto il mondo, senza lasciare traccia ed uscendo dalle situazioni più disparate, perché ho trovato grandi Istruttori sulle cui conoscenze ho poi costruito le mie avventure e libertà. 

A volte ci guardiamo intorno senza traguardare quante persone sono oltre la nostra visuale, persone che vogliono avvicinarsi a questa disciplina (magari prima di buttarsi in una gara) ma che la 'temono'. Se l'Istruttore di Trail Running diffonderà la Corsa in Natura, promuovendo e diffondendo la SICUREZZA, diffondendo lo SPIRITO della disciplina, SALVAGUARDANDO la Montagna (o Deserto che sia), incrementando così la gioia ed il divertimento di correre liberi e tranquilli, beh, credo abbia il suo bel da fare! 
Sta ad ogni Istruttore ora dimostrare che è questo quello che fa. È nelle sue mani il senso di questo ruolo e sappia che tutti sono lì pronti a giudicare il suo operato. 
Buon lavoro!


[1] Materia di competenza dell'Istruttore di Tecnica di Corsa (Laureato in Scienze Motorie) o di Corsa Naturale (con brevetto).


[2] Accompagnatori di Media Montagna, Guide Alpine, Istruttori CAI di Introduzione all'Alpinismo.

domenica 7 febbraio 2016

Free Running

Transacqua (TN)
22 Gennaio 2016


Free Running
Dall'alpinismo al free climbing, 
 e dal trail running al free running!

Sono incredibilmente fortunato ad aver vissuto ed attraversato gli anni '80 all'interno del 'movimento' alpinistico dolomitico. Un ambiente che riceveva influenze americane ed influenze del 'nuovo mattino' piemontese, in un effervescenza di idee e visioni sul futuro dell'arrampicata. Fortunato poi, che la mia partner nella vita sia stata anche la mia partner nell'allora arrampicata classica, poi sportiva, e che sfociò nel free climbing. Dico questo perché molte delle avventure più belle che ho ideato e realizzato (insieme a lei) e quanto intravedo nel futuro del nostro nuovo sport, il trail running, ricalcano gli eventi già vissuti nel mondo alpinistico degli anni '80. 

Ma andiamo con ordine.
Né io, né mia moglie siamo competitivi. Ci manca il sale dell'agonismo. Questo ci porta ad evitare di scegliere di fare troppe gare. Gare che andrebbero a scapito di itinerari 'personali' più o meno difficili, belli, conosciuti o sconosciuti, ma 'nostri'. Non abbiamo la necessità di confrontarci tra di noi e men che meno con altri. Questo succedeva con le centinaia di vie d'arrampicata percorse nelle Alpi, e succede con gli itinerari di trail running oggi.
La focalizzazione e la decisione va su percorsi ogni volta, possibilmente, nuovi (dove nuovi si intende anche in stagioni diverse, in versanti diversi, in concatenamenti veloci, etc..... guarda caso, tutte parole che provengono dall'alpinismo). Per nuovo potrebbe essere anche solo la prospettiva emotiva, le motivazioni, molle queste che .... a volte ci portano a dimenticare di essere iscritti quel giorno ad una gara e/o rinunciarvi per seguire l'idea nuova, la fiamma del momento, l'emozione di volerci sorprendere (la sorpresa, ricordo, è qualcosa che sta dentro di noi e non fuori di noi!).

Detto questo: per me la corsa gira intorno a questo. 
Gira intorno al senso di esplorazione; essa è un mezzo e non un fine; una via per essere qui ed ora; non un focus sulla distanza o sul tempo ma una sfida ai miei limiti.  

'Lavorare' sulla corsa per me è questo: libertà. 

Scrivere di corsa pure: è illustrare luoghi, parlare di emozioni, proporre 'sfide'/idee/visioni. La corsa non è che un gesto atletico che mi permette di intensificare le mie emozioni.

Correre è anche non seguire le tracce di altri, non seguire programmi, non seguire calendari .... Correre è anche sfidare il tempo, ma il tempo relativo, il tuo tempo e quindi vivere senza tempi limite, senza aspettative di altri, senza obiettivi esterni. 
Solo correre quando vuoi, camminare quando devi, rilassarti su di una vetta e fare delle foto se ti va.

All'estero questo lo stanno chiamando AlpinRunning, Free Running, Fast&Light e molti personaggi noti ne sono gli attuali interpreti e messaggeri, vedi Killian con il suo Summits of may life, i record di De Gasperi (Ortles e Monte Bianco), la grande corsa di Scott sull'Appalachian Trail. Di nuovo il record del Dega sull'Ortes e sul Monte Bianco con passaggi in arrampicata e zig-zag tra i crepacci, la rievocazione della Cervinia-Breithorn con 5 coppie di campioni che salgono con le scarpe da trail la cresta finale. La magnifica gara ISF world series organizzata in Norvegia da Kilian ed Emilie con guadi alla vita e percorsi in cresta mozzafiato o la 2900D in Andorra. Queste ultime, due gare che esaltano la competizione con le proprie capacità individuali, i propri limiti, più che la competizione vera di gruppo.

Fra me e me penso: “Dai che finalmente la corsa in natura si sta evolvendo, dai che finalmente qualche atleta sta riuscendo ad emulare e superare le storiche imprese di  Brunod e Meraldi”.

Quello che ho visto nel passaggio dall'arrampicata classica e sportiva, all'affermarsi del free climbing (divenuto gesto puro, libertà da costrizioni materiali e psicologiche) credo stia avvenendo anche nella corsa in montagna. Si assiste a grandi campioni che abbandonano le gare restando sulla cresta dell'onda per esperienze di corsa personali, inventate, posizionate sui loro limiti. Questo piace molto anche a me! 
Questo è il mio modo di intendere la Corsa in Montagna.

Per finire: l'introduzione di una scala delle difficoltà tecniche (pensata ed usata da Killian) per le gare di Sky Running è un segno che si va in questa direzione: il trail/sky running si sta allontanando dalla mera competizione sportiva [*] (... anche Marino Giacometti sta lavorando su questo ...)

Io sono stato e sono ancora un free climbing ed oggi mi sento un portabandiera del Free Running...
...e tu, hai mai provato a fare del free Running? Se veramente ami correre te ne drogherai! 



[*]
LO SCHEMA 'KILLIAN'
Lunghezza:
~ Short Gare di durata non sopra l'ora, dove lo sforzo è essenzialmente anaerobico e latta ido;
~ Medium Gare di durata compresa da 1 a 4 ore, dove lo sforzo è un mix tara anaerobico e aerobico;
~ Long Gare di durata compresa da 4 a 16 ore, dove posso sforzo è esclusivamente aerobico;
~ Ultra Long Gare di durata superiore alle 16 ore, dove allo sforzo, esclusivamente aerobico, dobbiamo aggiungere la privazione del sonno.

Difficoltà:
~ I. Sentieri facili dove non è previsto l'uso delle mani;
~ II. Sentieri facili con alcuni tratti rocciosi, dove è necessaria una minima conoscenza della montagna;
~ III. Sentieri con alcuni tratti sconnessi su terreni impervi (rocce, neve) dove è necessario l'utilizzo delle mani e dove l'esposizione comincia a diventare pericolosa;
~ IV. Sentieri con alcuni tratti attrezzati (corde, catene, etc.), dove la conoscenza dell'alta montagna è indispensabile e l'esposizione potrebbe essere fatale;
~ V.  Sentieri con lunghi tratti dove l'utilizzo delle mani è indispensabile, su difficoltà che possono raggiungere il terzo grado di arrampicata. È possibile utilizzare ramponi o attrezzatura da montagna per affrontare tratti molto esposti.


Come si vede il tutto è molto di estrazione alpinistica: si torna a parlare di ore e non più di km, e si abbozza una valutazione delle difficoltà tecniche del percorso...il cerchio si chiude.